lunedì 28 febbraio 2011

Maddaloni e il Villaggio dei ragazzi

Siamo nell'Italia del 2011, eppure non mancano alle cronache storie di reiterata violenza da parte degli adulti nei confronti di bambini e ragazzi "ribelli". Di oggi la notizia che lascia stupefatti - non certo per bellezza - e che riguarda un centro "educativo", il Villaggio dei Ragazzi di Maddaloni. 
"Pugni, schiaffi, spintoni che in qualche caso hanno fatto cadere anche dalle scale la vittima, l'uso della cintura come strumento di punizione. Ma soprattutto ingiurie, da 'porcò ad 'handicappato', per tutti i ragazzi che dovevano tutelare e formare, e in particolare per cinque di questi, tra cui un extracomunitario. E' il quadro che viene fuori dall'indagine della Squadra mobile di Caserta che ha accertato episodi di violenza, per una maestra anche sessuale e ai danni di due minori, fino a maggio dello scorso anno all'interno del 'Villaggio dei ragazzì di Maddaloni" (...)
La struttura. La Fondazione "Villaggio dei ragazzi - don Salvatore d'Angelo" di Maddaloni è un ente di assistenza e di beneficenza (IPAB), riconosciuto con decreti del Presidente della Giunta Regionale Campania, nato alla fine della seconda guerra mondiale per aiutare, in quella fase storica, l'infanzia abbandonata e priva di tutto. Il suo fondatore, don Salvatore D'Angelo, morto il 30 maggio del 2000, era consigliere spirituale e amico di infanzia del senatore Giulio Andreotti, quest'ultimo ancora presidente onorario della fondazione e consigliere di amministrazione effettivo. Un anno fa, l'ex presidente del Consiglio aveva ricevuto anche la cittadinanza onoraria dal comune di Maddaloni.
Nel 1994 don Salvatore venne coinvolto in una inchiesta su una ipotesi di ricettazione della procura di Santa Maria Capua Vetere, ma la sua figura è sempre stata legata alla maxi-struttura per i giovani più disagiati capace di ospitare oltre 500 persone e introdurre, dopo un percorso formativo, nel mondo del lavoro i giovani ospiti.
Fonte: La Repubblica

Ci preoccupiamo del ricorso di molti adolescenti alla prevaricazione senza mai sollevare il problema degli adulti che li affiancano e delle modalità che accompagnano il loro operato. Mi chiedo quante di queste strutture per minori operano in tutta Italia senza che vengano sottoposte a verifiche. Dove sono i servizi sociali che dovrebbero svolgere la funzione di monitoraggio e controllo?
In un clima di violenza e sopruso, quale socializzazione può realizzari? Quale partecipazione differente dalla mera prevaricazione può affermarsi nei luoghi della correzione?
Nessuna motivazione è valida per spiegare l'accaduto che è il frutto di incompetenza educativa accompagnata a smania di potere. Da non dimenticare che il dolore radicato nella memoria emotiva, nel migliore dei casi, richiede un lungo periodo di elaborazione, non meno doloroso,  perché ci sia "rinascita".

mercoledì 23 febbraio 2011

La Libia dei giovani e la fine di Gheddafi

Anche per la Libia è arrivato il momento. Siamo a Tobruk ed "in piazza adesso sventola alto il tricolore con la mezzaluna "dell'indipendenza" al posto del vessillo verde introdotto da Gheddafi nel '52 come simbolo della "rivoluzione popolare". Verde come il Libro pubblicato dal tiranno nel 1975 per regolare la Jamahiriyyia, l'immaginario Stato delle masse. È lo stesso che, scolpito in copie di dimensioni monumentali, punteggia il Paese e infatti là fuori i giovani ora stanno demolendoneuno a colpi di piccone. "Ecco la giusta fine di quel libro assurdo", si sgolano i ragazzi. I tonfi del cemento che rotola a terra fanno da sordo controcanto alle raffiche di mitra che riempiono il cielo di Tobruk, sparate per festeggiare "la liberazione". " (Da La Repubblica)

Una nuova ribellione attraversa quindi l'Africa, ed un'altra icona del potere assoluto, di un governo fondato sul fucile e sulle idiosincrasie del leader, sta crollando.
Il "re dei re d'Africa" è oggi sotto la scure del giovane popolo libico che sta pagando sulla propria pelle, ed in massa, il bisogno impellente di libertà e giustizia. Il potente e pre-protente Gheddafi, nutrito da una cultura di morte, continua a scagliarsi contro la vita del "suo" popolo ma le sue ore sono contate. Il tempo della trasformazione è giunto, la società è pronta e non lascia nulla dietro di sè oltre alla memoria delle singole vite che sono state umiliate, per troppo tempo, dall'ideologia.
In tutto ciò, mi torna in mente la visita di Gheddafi in Italia lo scorso anno, con le sue amazzoni e il teatrino annesso. Ricordi che lasciano soltanto l'amaro in bocca.
Credo che il bisogno di rinnovamento sia oramai diffuso, non soltanto in terra d'Africa.

domenica 13 febbraio 2011

Se non ora, quando?

Mentre in Africa le piazze si riempiono di uomini che rivendicano diritti civili e sociali (sebbene sotto il controllo tradizionale del potere militarizzato), in Italia sono le donne - che possono - a cercare giustizia. Oggi ai cortei erano in tante, più di un milione, ed hanno attraversato le strade d'Italia. Non siamo negli anni '60, non è il popolo delle femministe ma sono le donne del 2000, di qualsiasi estrazione sociale, che hanno risposto al capo del governo italiano, Silvio Berlusconi, ed al suo team di uomini al potere. Nelle città italiane dove maggiore è la libertà di pensiero e di azione non sono stati i sindacati, nè i partiti a motivare la partecipazione delle donne alla manifestazione di piazza, quanto meno non sono stati gli unici.
La libera affluenza ha risposto ad una vocazione ben chiara, quella al riconoscimento della Vita, nella sua specifica Bellezza, che affiora al di fuori delle logiche di mercato.
La Gestione delle risorse umane è in crisi, così come lo sono le organizzazioni che utilizzano le singole vite per aumentare gli affari, la distribuzione ed il mantenimento del potere.
In tutto ciò vi sono le donne che oggi, nella modernità, possono: Riflettere, Concettualizzare, Dichiarare, Rivendicare. Anche alla luce di un sentire profondo che si radica nei loro corpi e che ricorda l'ancestrale appartenenza all'unità ed alla sintesi che è Vita ed Amore e che nulla ha a che vedere con la strumentalizzazione dell'amore quando viene inteso come mera scarica di adrenalina.

mercoledì 2 febbraio 2011

Uomini e donne: uguali in Amore


Per la scienza arriva sempre il momento di buttare il vecchio e fare entrare il nuovo, anche quando il nuovo porta con sè il ribaltamento di credenze e ordini ritenuti inossidabili. Come si sa, il Nuovo richiede la de-costruzione del già dato per dare spazio a possibilità inedite di espressione.

Nel caso delle attribuzioni di genere (maschile e femminile), un recentissimo studio realizzato all'University College e pubblicato si PloS One refuta la tesi, data per scontata e ribadita da John Gray nel suo best seller, secondo la quale gli uomini sarebbero Marziani e le donne Venusiane. La realtà è che il cervello dei due sessi segue le stesse dinamiche e ciò è particolarmente visibile durante l'innamoramento. Le risposte alle sensazioni d'amore sono le stesse e le incomprensioni di coppia non hanno nulla a che fare con i neuroni e la biologia. La dopamina, neurotrasmettitore dei circuiti della ricompensa, attiva un senso di appagamento comune per uomini e donne.
Le differenze, chiaramente visibili nelle relazioni sociali, non dipendono quindi dalle strutture cerebrali ma da "condizonamenti di genere, culturali e sociali, appresi nell'arco della vita". Per l'antropologo Alessandro Bertirotti  "il dato più interessante della ricerca è comunque quello di aver scoperto la disfunzionalità della parte della corteccia cerebrale dedicata alla formazione del giudizio critico, e questo in entrambi i generi, sia per gli eterosessuali che per gli omosessuali". La natura avrebbe quindi predisposto l'assenza di criticità mentale di fronte all'Amore, rendendo probabile l'innamoramento (La Repubblica). 

Tutto ciò non ci sorprende, almeno non sorprende chi sa molto bene che i significati che attribuiamo al mondo sono simbolici, quindi culturali, e che la cultura costituisce la caratteristica umana, diciamo la sua "specificità", grazie alla quale l'Uomo ha potuto sopravvivere benché privato di "naturali" attributi specialistici (artigli, ecc.).
Per rispondere all'esigenza primaria di sopravvivenza, la specie umana ha quindi costruito comunità comunicanti e società sempre più complesse con relative semantiche ricche di significati simbolici che hanno orientato e facilitato il coordinamento tra gli individui.
Nella crisi odierna pare però che il simbolico sia diventato talmente trascendente rispetto alle cose a cui si riferisce da costituire sempre meno la specializzazione umana necessaria per la Vita. Il rimando alle archeologie culturali non aiuta, ed è proprio su questa condizione del moderno che occorre interrogarsi per riflettere anche sulla cultura di genere, considerando la possibilità che le differenze, oltre ad essere inesistenti sul piano della Natura, siano oramai disfunzionali alle singole vite, al punto da innescare sempre più dia-boliche (separazioni) vitali (riferite alla conservazione della vita) oltre che dia-boliche culturali.