venerdì 6 novembre 2009

Quell'uomo in croce


La polemica dei giorni scorsi sulla decisione della corte europea, in risposta al ricorso presentato da una cittadina, di proibire l'affissione del crocifisso nelle scuole pubbliche, si radica sicuramente nel diritto positivo che dall'Illuminismo in poi ha caratterizzato la politica moderna contro i pericoli della de-differenziazione sociale (di potere spirituale e di potere temporale). Ma se ci pensiamo un attimo, in fondo, sembra trattarsi di una decisione "religiosa", nel senso etimologico del termine, volta cioè a unire anziché dividere, ad includere anziché escludere, come, invece, avviene ogni qual volta prevalgono codici fondati su valori separativi e gerarchici, orientati alla razza, al genere, all'appartenenza (etnica, religiosa, etc.). Poi, però, mi viene in mente ciò che scrive Travaglio nel blog del quotidiano Il Fatto, citando la scrittrice italiana Natalia Ginzburg, ebrea e atea: “Il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. È l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea dell’uguaglianza fra gli uomini fino ad allora assente… Perché mai dovrebbero sentirsene offesi gli scolari ebrei? Cristo non era forse un ebreo e un perseguitato morto nel martirio come milioni di ebrei nei lager? Nessuno prima di lui aveva mai detto che gli uomini sono tutti uguali e fratelli. A me sembra un bene che i bambini, i ragazzi lo sappiano fin dai banchi di scuola". In effetti, nel dibattito italiano odierno, nessuno è riuscito ad esprimere con tanta semplicità la propria difesa del crocifisso. Le ragioni addotte sono state varie, alcune banalissime, altre più sofisticate. In ogni caso, credo che la sentenza europea debba far riflettere, quanto meno sulle motivazioni della cittadina europea, oltre che sui risultati decisionali. Forse ha voluto ricordare che l'Europa è uno stato di diritto (positivo) e di doveri (con riferimento ai diritti), e che le specificità culturali (religiose) debbono restare doni preziosi per chi vuole coglierli e non domini di potere.

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