Era il 2004. Così scriveva Galimberti riguardo l'uso del telefonino: "se fossimo buoni osservatori di noi stessi, forse, per conoscerci, potremmo risparmiare sulle sedute psicoanalitiche e prestare attenzione all'uso che facciamo del telefonino, che è un grande rivelatore del rapporto che noi abbiamo con la realtà e con gli altri". Con riferimento al libro dello psicoanalista Luciano Di Gregorio, Psicopatologia del cellulare, Galimberti tracciava una sintesi sulla condizione umana nella società dei network, delle reti in cui tutti siamo in contatto e dove è il cellulare a regolare la distanza, non soltanto quella fisica ma anche quella "più intollerabile di natura sentimentale che nasce dai vissuti di mancanza e di perdita del contatto con l'altro". L'ansia associata all'assenza è ben conosciuto dai bambini in dipendenza totale dalla mamma. Ed anche qui ci sarebbe da dire: vedi "La scoperta della solitudine" di Paolo Stauder. Ma restiamo con Galimberti che dice: "chi è un uomo che non sa tollerare la distanza e l'assenza, che non sa stare solo con sé, che traduce subito la solitudine in un vissuto d'abbandono, quando non addirittura in una perdita di identità?". Di uomini così ce ne sono tanti e pare che il telefonino sia proprio lo strumento magico che placa l'ansia ma non l'elabora, ed anzi soddisfa anche il bisogno di onnipotenza (anche questo ben conosciuto dai bambini). Tuttavia, come accade con i farmaci ansiolitici, c'è l'effetto collaterale. L'onnipotenza richiede il controllo e quest'ultimo alimenta i vissuti paranoici. Ecco che "incontenibili diventano le nostre verifiche sulla vita delle persone che ci interessano, sui luoghi che frequentano, sugli spostamenti che effettuano nell'arco della giornata, sulle persone che incontrano e sulle cose che fanno in nostra assenza". E non finisce qui. L'onnipotenza non è tale se non è esibita. Il telefonino diventa lo strumento dell'esibizione. Esibisce l'intimo, il personale, il segreto. Esorcizza l'anonimato. Le industrie sanno bene tutto ciò ed infatti pare che la ricerca tecnico-scientifica abbia come motore di ricerca il terrore dell'imprevedibile. Sarà per questo che - si chiede ironicamente Di Gregorio - per uno strano scherzo lessicale, il telefonino ha lo stesso nome del mezzo che si usa per il trasferimento dei detenuti?
Ed oggi non c'è soltanto il telefonino.
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